Presentazione
“Olympus Has Fallen”… ed è precipitato dentro il Reale. Lassù, o laggiù, dove è sempre stato. Cade lontanissimo, l’Olimpo greco, dalle ingenue personificazioni antropomorfe in cui ha cercato di confinarlo il cristianesimo con la miriade di santini e demonietti pagani in cui si rappresenta il “padre degli dei” e cornutissima consorte, e il “messaggero degli dei”, e le divinità della bellezza, e della sapienza, e della caccia, e del vino, e via pargoleggiando. La mitologia classica è l’infinito, complessissimo racconto di invarianti della nostra psicologia inconscia, archetipi dell’inconscio colletivo, per dirla alla Jung, la cui essenza, paradossalmente, “si dice in molti modi”, come ricostruisce magistralmente Calasso in “Le nozze di Cadmo e Armonia”.
Un viaggio di andata e ritorno verso l’Altro marchia l’uomo nudo. L’Olimpo fornisce un materiale fitto di discontinuità narrative e simboliche, per dire questo Altro da cui l’uomo esce con la sua dimensione cosciente e civile ed a cui ritorna nel suo desiderio pieno di oltranze e di scarti dalla confortevole civiltà. Gli scatti in mostra hanno questa cornice, tra uscita da una ieratica oscura forma scultorea e un ritorno a interrogarne la fioca ambigua luce. Come a evocare la ricerca umana, nell’oscura luce delle sue creature soprannaturali, del segreto della propria natura piena di zone oscure. Da questa ferita-feritoia si vede l’uomo uscito da una perfezione che lo esilia, in cerca di forme che nostalgicamente lo riportino lì. Ma nell’Olimpo greco Bellezza e Perfezione non si dicono con i miti di Caduta, di Salvezza, di lotta tra il Bene e il Male. In quei racconti perversamente polimorfi in cui si muovono gli dei dell’Olimpo greco il cuore pulsante batte sempre, come in diastole e sistole, tra bene e male, tra compostezza ed eccesso, tra tensione all’armonia e abissale caos dell’informe. Così, queste elaborazioni fotografiche sembrano portare lo sguardo all’interno di una contemporanea Villa dei Misteri: i1 quotidiano si fa perturbante, ogni gesto e sguardo e oggetto va come verso un cono d’ombra, afferrato dalla tensione ad una trascendenza del quotidiano che è la sua fatale hybris, lo smisurato orgoglio di creare qualcosa che resti, la sfida della permanenza. E’ certo molto suggestiva la tradizione della psicologia archetipica hillmaniana che vede “vana” la fuga dagli dei perché esprimono, nella primaria logica del sogno, miti profondamente inscritti nelle nostre manie, nelle nostre ossessioni, nelle nostre paure, nelle nostre speranze di felicità e nelle nostre estasi. La bellezza è un enigma, un reticolo di punti in cui si inscrivono aspirazioni. La ieraticità fatta di bellezza e fissità funerea (attrazione fatale del medium fotografico) si trova nei volti di donne, nel muso di un gatto, il gesto dionisiaco che tocca-genera un grappolo d’uva sembra dire che non dalla Perfezione divina ma dal Desiderio umano nasce la vita, Apollo si staglia da un muro scrostato come una ferita, e Dioniso dilaga nelle sua manifestazioni erratiche, come vuole il centro nevralgico di tutta la tradizione olimpica. Olympus falls… continuamente, con la sua bellezza impossibile nel desiderio imperfetto (velleitario, nevrotico, solipstico) del sempre “umano, troppo umano”. E da questo sapere parte un contatto non illusorio e mistificante sul significato della vita.
Testo di Giancarlo Tonani
