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Giuseppe Ciccia

"Mostra personale"

LIBRO DELLE VISITE
La mostra si è conclusa il 04/01/2015

Biografia


Biografia


Ciccia Giuseppe nasce a Messina il 26 novembre 1946. Dopo essersi formato all’Istituto Statale d’Arte di Messina, nel 1966 si arruola nella Marina Militare come marinaio semplice. Dopo il periodo militare, Giuseppe Ciccia si trasferisce a Firenze e completa gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti con i maestri Gastone Breddo, Giancarlo Caldini, Silvio Loffredo.
Conseguita la laurea, si abilita all’insegnamento di Disegno e Storia dell’arte, Pittura e Anatomia Artistica. Svolge professione di docente al Liceo Scientifico, al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti.
Presso l’Accademia d’Arte di Tokio – nella sede di Firenze – periodicamente svolge dei Master in Arti Visive.
Fa conoscenza con Ugo Capocchini, Primo Conti, Anna Salvatori, Alfio Rapisardi, Emilio Vedova, Vinicio Berti, Simon Benetton ed altri.

1963 - Inizia l’avventura artistica di Giuseppe Ciccia, viaggiando tra Messina, Roma,
Firenze, Montmartre -Parigi, Basilea, New York, Tokio, partecipando ai grandi movimenti
dell’arte contemporanea.
Notevoli le sue performance che coinvolgono il pubblico, in quanto diviene, oltre che spettatore, parte integrante dell’opera.
Appaiono i primi cenni critici su quotidiani e riviste, le prime partecipazioni a mostre collettive e personali, nelle quali è presente con opere di ispirazione alla POP-ART, mentre le sue sculture filiformi hanno riferimento all’Arte Povera.

1971 - In questi anni il suo modo di dipingere è ancora di matrice Neo-espressionista, ma influenzato dalle suggestioni della pittura Americana, dall’Espressionismo Astratto e dalle tendenze gestuali e comportamentali che in quel periodo infiammavano i giovani artisti italiani.
Ad affascinarlo è un’eversione soggettiva, un’utopia di pensiero, di metamorfosi del mondo, in cui l’opera d’arte rivela da una parte una forza libera e autonoma nella società che la circonda, mentre dall’altra si colloca nella vita concreta e nella convinzione che la vita stessa nella società possa in qualche modo cambiare con l’arte.
1972 – Viene invitato a realizzare la sua 1^ mostra personale nella città di Firenze, alla Galleria Borgo Pinti.
1973 - L’incontro con Vinicio Berti ed Emilio Vedova contribuisce a incoraggiarlo maggiormente ad esercitare il suo impegno in una pittura che rifiuta la forma e l’interpretazione dei dati oggettivi della realtà, per operare attraverso una sintesi formale, ristretta sulla polarità di pochi colori, dal rosso al nero e dal blu al giallo.
1975 - Non a caso, Giuseppe Ciccia fonda il Movimento Artistico denominato “ASSURGENTISMO”, con il chiaro intento di riportare l’arte al centro della vita, alla sua condizione naturale intesa come evoluzione dello spirito.
E’ proprio in questo clima di fecondi elementi di innovazione e di contraddizione che prende avvio il percorso artistico ed esistenziale di Ciccia.
In questo periodo l’artista è particolarmente sensibile e attento al dibattito culturale che avviene in Italia, in Europa, negli Stati Uniti.

1975 - Partecipa alla X^ Quadriennale di Roma “La Nuova Generazione”.
1976 – Patrocinato dall’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo del Comune di Messina, espone nei locali dell’Ente Comunale con 70 opere tra acquerelli e olio su tela. Il catalogo è stato presentato dal Maestro Giancarlo Caldini.
1982 – Alla Galleria Teorema di Firenze, realizza la Mostra personale “Vibrazioni” con presentazione sul catalogo di Silvio Loffredo, Antonio Coppola e Massimiano G. Rosito.
1983 - “Art '83 Internationale Kunstmesse “Art-Fair” Basel
- “Art Expo 1983 Fiera Internazionale d'arte contemporanea – Dallas (USA)
- Directions Gallery – Visual Arts Building – State University - Colorado
1983/1987 - Interviene alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con delle “Immagini/Azioni” (postcards), scelte appositamente per evidenziare un messaggio attraverso un segno pubblicitario estrapolato dall’architettura della Laguna.
1984 – Expo Arte – Bari
- Art '84 – Internationale Kunstmesse “Art Fair” - Basel
- Arco '84 Arte contemporanea – Feira Internacional de Madrid
- ART EXPO – International Art Fair – New York - Coliseum
1985 – Per la 41^ Notturna di San Giovanni a Firenze realizza la copertina del giornale “Gara Podistica Internazionale Su strada”.

1986 – Per Firenze Capitale Europea della Cultura, realizza la “Cartolina Commemorativa” a ricordo della proclamazione ufficiale.
1987 - Ospedale degli Innocenti – Salone Brunelleschi – Firenze
1988 – Studio d'Arte “IL MORO” - Firenze
1992 - Prato - Palazzo Pretorio Museo Civico– “NUOVA FORMA” - a cura di Elvio Natali
1993 – Nei Chiostri di Santa Croce , Firenze, partecipa alla mostra d’arte “Gli artisti per la pace”
1994 – Le Festival Italien de Cannes “L’air du Temps” nell’Hotel Majestic realizza la personale «La Pulsion du Temps» e performance d’Artista.
• Galleria d'Arte – Marchese Arte Contemporanea – Prato
• Arte Fiera - Bologna
1995 - Realizza un intervento speciale per commemorare i CENTO ANNI della Biennale di Venezia.
Partecipa nella Basilica di S. Lorenzo – Salone Donatello – Rassegna d’Arte “Firenze Arte e Telematica”.
1996 – Sala dell'Accademia delle Arti e del Disegno – Firenze
1997 -Young Museum – S. Maria Gualtieri (PV)
2000 - Nelle sale della Società delle Belle Arti - Casa di Dante - a Firenze, realizza una mostra con opere su tela e su tavola con varie installazioni, performance e video-art , dal titolo “Tracce”.
2001 – Espone a Tokio, Galleria Skidoor Art Place “Aoyama”.
2002 – Nei Chiostri e Sala d’Armi della Basilica di S. Maria - Impruneta (FI) ,con la mostra “Tralci” espone opere in pittura su tela e installazioni, inoltre realizza l’opera designata per “Etichetta” del vino dell’anno.
Nello stesso anno realizza il Gonfalone per il Palio di S. Luca all’Impruneta.
2003 – Per il Comune dell’Impruneta realizza l’altorilievo in cotto ingelivo con colori ingobbi di cm 274x160 dal titolo “Dedicato…”.
 Viene invitato a TUSCIAELECTA Arte Contemporanea nel Chianti “INNESTI DOC”.
2004 – Kore Arte Contemporanea - Omaggio a Mario Luzi – Vicchio (FI)
2005 – Partecipa alla Biennale “The Art Card” – Sharjah Art Museum, Emirati Arabi Uniti.
- A Palazzo Datini – Prato (Firenze) – nell’occasione della Mostra Personale, viene presentata la monografia “Il Segno dell’Utopia” scritta dallo storico dell’arte Savino Marseglia.
2006 – “Alchimie… Silenzi e Vibrazioni” - Galleria del Palazzo – Enrico Coveri - Firenze e Pietrasanta (Lucca)
2007 – Shanghai China, espone 20 opere di dimensioni cm 100x100 al Ming Yuan Art Center e al Wison Art Center.
2008 – Nell’occasione della Fiera del Lusso espone al Mondo Arte Gallery Dubai U.A.E.
2009 – Mostra-Evento “Finestra Sul Passato” – Area e Museo Civico Archeologico di Fiesole (FI).
2010 - Installazioni per la città – Montelupo Fiorentino (Firenze) – XVIII Festa Internazionale della Ceramica.
• Intervento scenografico - Piazza Solti - Castiglione della Pescaia (GR) – XXX Edizione del GreyCat Jazz Festival.

• Expo Universale 2010 Shanghai – China, personale al Shanghai International Convention Center di Shanghai PuDong, - Wison Art Center di Shanghai.
2011 – “Inquietudini Riflesse” - Installazioni e opere su tela – Limonaia e Giardino -Palazzo Medici Riccardi – Firenze
• “SpaziAzione” - Installazioni e opere su tela e su tavola - Galleria Chigi –
Palazzo Chigi – Viterbo
• “Incrocio di Percorsi” – Opere su tela - Sala d’Armi - Basilica S. Maria, Impruneta Firenze
2012 - “Linguaggi dell'Arte” - Palazzo Zenobio – Firenze.

2013 - “MEMORIAeDIVENIRE” - Retrospettiva 1963-2013 – 50° di Attività artistica – Palazzo Medici Riccardi Sale Fabiani – Firenze
2014 – Nel mese di febbraio viene collocata al Senato della Repubblica Italiana “PALAZZO MADAMA” Roma - l'opera “ARCHEOLOGIA” - tecnica mista su tela cm 100x150 – realizzata nell'anno 2009.
2014 - “MEMORIAeDIVENIRE … e DUE” - Installazione e opere su tela “Sala delle Colonne” Palazzo Municipale – Pontassieve (FI)

Le sue opere

Le opere sono presenti in spazi pubblici, Musei Civici ed Istituti Religiosi: Comune Impruneta (FI) Piazza Buondelmonti; Città del Vaticano; Firenze Gabinetto di Disegni e Stampe della Galleria degli Uffizi, Gabinetto Viesseux, Biblioteca Nazionale; Udine: Museo Civico e Galleria d’Arte Antica e Moderna; - Emirati Arabi Uniti: Art Museum Sharjah; - Malta: Museo Mistique; - Prato : Palazzo Comunale; - Civita di Bagnoreggio (Vt): Palazzo Comunale; - Impruneta (FI) : Palazzo Comunale; - Messina: Santuario di S.Antonio-Cripta S. Annibale M. di Francia; - Roma: Casa Generalizia Istituto Suore Cappuccine del Sacro Cuore; - Scandicci (FI): Nuova Chiesa di San Giusto; - Firenze: Chiesa di Santa M. a Cintoia, Istituto degli Scolopi, Fondazione d’Arte Contemporanea Montesenario, Pia Casa di Montedomini; - Carovigno (BR): Palazzo Comunale; - Petralia Soprana (PA): Pinacoteca; - Milano: Collezione Banca Commerciale Italiana; - Sinagra (ME): Pinacoteca; - Revere (MN): Young Museum; - Comune di Montelupo Fiorentino (FI) Palazzo Comunale; Venezia, Palazzo Zenobio – Firenze “Palazzo Medici Riccardi Sale Fabiani” - Roma “Palazzo Madama” Senato della Repubblica Italiana – Pontassieve (FI) “Sala delle Colonne” Palazzo Municipale

Della sua attività si sono occupati: A. Alessandra, A. Balsamo, L. Barbera, A. Barducci, G. Caldini, D. Camiciotti, G. M. Carli, P. Chegai, S. De Rosa, G. Folco, P. Grasso, F. Gurrieri, G. Iacopini, P. F. Listri, S. Loffredo, S. Marseglia, P. Matrone, E. Natali, R. Nencini, T. Paloscia, D. Pasquali, V. Pili, D. Pugliese, D. Pronestì, M. G. Rosito, A. Sarti, S. Sartini, A. Spinillo, M. Vanni, M. Venturoli, etc.


Giuseppe Ciccia vive a Firenze con studio in Via Delle Torri, 22/24.

www.giuseppe-ciccia-arte.com
g.ciccia@alice.it giuseppeciccia1@gmail.com
mobile: 338.2908705



Recensioni


“Finestra sul Passato” Fiesole 2009

Cenno critico di Maurizio VANNI


Per un artista del nostro tempo il confronto con l’arte antica potrebbe risultare sconfortante e disarmante: non è semplice compararsi con civiltà, come quella etrusca e romana, che hanno ideato forme, oggetti e strutture architettoniche a cui tutti, successivamente, si sono ispirati. Voltarsi e guardare indietro è un’operazione che tutti potrebbero prendere in considerazione, ma che quasi mai porta un individuo, o ancora meglio un artista della nostra contemporaneità, a strutturare pensieri e concetti legati in modo biunivoco al proprio tempo.
Guardare indietro può risultare pericoloso, ma è solo meditando sulle proprie origini che è possibile capire la propria natura: il raffronto può risultare più produttivo di quanto si possa immaginare; infatti rapportandoci al passato e analizzando ciò che è stato fatto in altri tempi possiamo trovare risposte utili a spiegare azioni e comportamenti presenti. Tutto è stato inventato, ma tutto è ancora da ideare!
Giuseppe Ciccia, attraverso le sue installazioni nell’area e nel Museo Archeologico di Fiesole, mostra il coraggio di accostare le proprie creazioni astratte a forme che stanno alla base della nostra storia dell’arte e acquisite come tradizionali e naturali. Strutture non figurative inerenti a una comunicazione al tempo stesso meditativa e compulsiva, ma non avulse dalla storia, non lontane da quell’arte del reale bisogno e del puro piacere che ha caratterizzato molti secoli della nostra antichità. Per la maggior parte della produzione artistica antica, infatti, l’aspetto funzionale e pratico era alla base della creazione, a questo si unì con il tempo il gusto estetico ed il piacere per il bello: la forma si congiunge alla grazia e all’armonia.
Per gli antichi, come per l’artista contemporaneo, tutto questo si può desumere dal reale, ovvero osservando la natura è possibile ricrearne forme e soprattutto bellezza. La storia dell’astrattismo, ad esempio, ci dimostra come casualità, voglia di trasgredire a canoni rigidi e un rapporto personalissimo con la mimesi del dato fenomenico stiano alla base delle prime opere dei padri storici dell’astrazione. Con il passare dei secoli, l’arte si è liberata da una funzione meramente rappresentativa e pratica per passare ad essere un mezzo puramente espressivo: da linguaggio a mezzo di divulgazione, fino ad arrivare a una sorta di comunicazione allo stato puro.
Le astrazione di Giuseppe Ciccia, apparentemente distanti dalla realtà, tracciano un linguaggio estetico che proprio da alcuni dati oggettivi prendono spunto. Lontano dal voler illustrare il naturale, l’artista siciliano, attraverso l’esplosione materica e l’irruenza del segno, è proteso a rendere visibile quella dimensione parallela, ma anche sinergica, alla vita reale e che si iscrive nella psiche e nell’istintualità umana.
Per Ciccia l’atto creativo si esplica con un impegno fisico che riproduce quel moto sentimentale e quelle sensazioni che scaturiscono dall’osservazione del reale. Tutto è di fronte a noi, basta avere gli occhi per osservare e la mente per tradurre queste sollecitazioni. L’empatia che si istaura tra il pittore e il mondo circostante prende consistenza nella non-forma: moti disordinati, rapide linee tracciate impulsivamente, colori primari che si intersecano con il neutro del bianco e del nero, traducono visivamente ciò che viene rielaborato dai sensi e dall’intelletto. Un turbinio di tracce, linee e segni ancestrali che spiazza la ragione e ammicca direttamente all’emisfero destro del nostro cervello.
Ammirando il Teatro Romano di Fiesole, l’artista si è trovato di fronte ad un’opera incommensurabile per importanza storica e per qualità architettonica: il suo valore e la sua magnificenza non poteva altro che far scaturire sensazioni di rispetto. A Quel punto le strade che Ciccia poteva percorrere potevano essere due: o accostarvi un’altra opera della stessa forza espressiva, un monumento potente, un totem imponente che rappresentasse l’ideale legame-passaggio tra l’arte del passato e quella della nostra contemporaneità. Oppure lavorare con lo spazio e per lo spazio, dialogare con la storia attraverso un codice contemporaneo, costruire una finestra ideale attraverso un idioma artistico in grado di fare breccia tra due mondi, predisposto ad aprire un vero e proprio stargate dimensionale tra due o più epoche.
Il dialogo tra l’arte di Ciccia e il Teatro Romano nasce da una volontà quasi performativa dell’artista, si è innescato attraverso un elemento distante dal Teatro, ma posizionato come naturale esaltazione di esso: nell’area sovrastante l’arena, infatti, è stata creata una Finestra sul passato, la sua finestra ideale, un’installazione in vetroresina che inquadra e funge da encomio al paesaggio storico retrostante. Non una barriera, bensì un vero e proprio invito allo scambio e alla contemplazione attiva di un passato che non cesserà mai di presiedere ogni ideazione artistica dell’uomo, ma che al tempo stesso stimola il detentore di fantasia e creatività ad andare oltre, a superare ogni confine limitante che, in quanto tale, non è altro che una creazione dell’uomo pavido.
In quanto apertura sull’aria e sulla luce, la finestra simbolizza la ricettività: se è rotonda questa capacità è simile a quella dell’occhio; se è quadrata o rettangolare corrisponde alla ricettività terrena in relazione agli apporti celesti.
La finestra di Ciccia, più che un affaccio o un inquadramento, sembra porsi come linea di confine tra uno stato emozionale e l’oggetto – fisico ed emotivo – che ha innescato la sensazione: una porzione di spazio dove si convogliano le emozioni, una struttura senza precisi riferimenti temporali ubicata tra il reale e il realistico, tra il quotidiano e un’epoca lontana che, seppur distante, continua a influenzare l’Hic et nunc, il qui e ora. Su questa soglia lo spettatore si trova ad essere maggiormente consapevole del percorso storico intrapreso: davanti a questa sorta di passaggio temporale, il fruitore si concentra sul proprio essere e sulla sua funzione culturale. La persona superficiale si troverà di fronte una semplice architettura priva di senso funzionale e dal dubbio valore estetico. L’utente curioso, disposto a mettere in gioco il proprio apparato sensoriale e pronto a lasciarsi pervadere da emozioni inattese, si troverà a colloquiare con il passato e a intravedere il futuro. Un luogo privilegiato dove gli dei diventano uomini e gli esseri umani possono aspirare a quell’immortalità che solo l’arte, intesa come mezzo per andare oltre al terreno, potrebbe regalare.
La forma asimmetrica della struttura e i rapidi segni apposti sopra dall’artista donano al complesso movimento, imprevedibile e lento movimento: l’intento è quello di rendere questo accesso fluttuante, non permanente, pronto a chiudersi e riaprirsi in luoghi altri in qualsiasi istante: solo chi viene rapito dall’emozione del momento oltrepassa il limite dell’eterna contemporaneità.
Anche nelle tre arcate vicino al Teatro, rimaste a testimonianza della terrazza delle antiche Terme, Giuseppe Ciccia vi introduce alcuni elementi: un cerchio dorato e due chiavi di volta trasparenti, ma pur sempre contaminati dai suoi tocchi cromatici. Questi inserimenti site specific divengono una celebrazione dell’antico ingegno, un inno alle invenzioni architettoniche romane considerate, per certi versi, più moderne e attuali di quelle della nostra contemporaneità.
Il colloquio tra arte contemporanea e antica si fa più intenso all’interno delle sale del Museo; qui il pittore non solo inserisce alcune delle sue tele tra i pezzi etruschi e romani, ma vi installa quattro vasi canopi, collocati nei pressi dell’ingresso, liberamente ispirati agli originali contenitori funerari di terracotta d’epoca etrusca ed una moderna “stele” troncopiramidale in plexiglas.
Come le antiche urne cinerarie, anche queste creazioni in cotto riproducono schematicamente nei coperchi delle teste umane e sul corpo del vaso, come anse, sono accennate delle braccia stilizzate. Le cromie utilizzate sul materiale fittile sono le medesime che l’artista utilizza su gli altri supporti: stessi toni e medesime modalità espressive, le linee sono sempre poste velocemente, creando strutture signiche sintetiche e serrate. Sono i colori primari e le loro irreali orchestrazioni a generare un totale distacco dagli oggetti e dal reale. Una forma espressiva che indica la palese volontà di trasmettere al fruitore il bisogno di fare e di agire, di essere e di avere, di vivere e ri-vivere.
Anche in queste opere, come in quelle posizionate all’esterno, a prevalere è il gesto dettato dall’emozione e dalle veemenze che presiedono l’ideazione. Venute meno le strutture note ed i volumi, tralasciata la funzione rappresentativa del colore, l’artista si lascia andare al ricordo e al sentimento, all’istinto e alla volontà di indagare l’oltre, attraverso formule compositive libere e straordinarie. Le forme conosciute si trasformano in formule e autonome composizioni che si aprono alle più imprevedibili associazioni. Le finestre sul passato di Ciccia non corrispondo a una riflessione nostalgica e pessimistica sul presente, non intendono rallentare la crescita artistica degli artisti sperimentatori della nostra contemporaneità, bensì vogliono dimostrare quanto il passato possa dialogare con il presente, quanto la storia dell’arte antica possa incontrare quella contemporanea per mezzo di una danza sfrenata e magica in un tempo senza tempo. Magia dell’arte, forza dell’allusione e potere di un artista che non ha mai smesso di sognare.


Maurizio Vanni
Museologo, Storico e Critico d’arte



UN'IPERBOLE DELL'ESPRESSIONISMO ASTRATTO
di Francesco Gurrieri
Giuseppe Ciccia - “MEMORIAeDIVENIRE” - 50° di attività artistica

Il “sistema dell'Arte” è in frantumi da tempo. Le ultime Biennali veneziane ne fanno testo. E la stessa nozione di “Artista” (già derubricato e riconnotato come “Operatore”) è stata ulteriormente strapazzata. Così, in questa povera (sempre più povera) incertezza culturale, apprezziamo i pochi segni di stabilità linguistica, perché da questi, quando si tornerà ad una responsabile normalità civile e culturale, si dovrà ripartire. E quali sono questi “segni di stabilità” ? Sono le fedeltà a quei linguaggi e a quelle poetiche rimaste invendute alla mutabile opportunistica moda. Fra queste “certezze” c'è, per l'appunto, l'opera di Ciccia, sempre a cavallo tra la gestualità di rottura di Jackson Pollock e l'astrazione lirica di Georges Mathieu: per trovare i quali bisogna riandare ai primi anni '50 del Novecento. Anni di trasgressione e innovazione che, tuttavia, restavano rispettosi dello statuto delle arti.
In questo intervallo di tempo Ciccia ha intensamente lavorato, pausando la sua produzione con numerose esposizioni, di cui, una per tutte, ricordiamo quella in Palazzo Medici Riccardi. Ed allora, oggi, a premessa di quanto segue (che scrissi qualche tempo fa) riconosciamo al nostro Artista questa sua fedele e coerente testimonianza; suggestiva e feconda per se stessa, ma anche utile per fissare quei capisaldi che ci aiuteranno (o aiuteranno altri) a capire cosa sia accaduto alla cultura artistica in questi anni inutilmente convulsi.
“L'arte sembra correre il rischio di venir sommersa dalle chiacchiere”, scriveva Rudolf Arnheim nel suo innovativo volume Arte e Percezione visiva (Berkeley 1954, Milano 1962).
Così, per evitare il rischio di un'ennesima lettura enfatizzante- di cui il nostro artista non ha più bisogno, si cercherà qui di perseguire un'esegesi pacata, con l'obiettivo di inquadrare le coordinate storico-artistiche della sua opera, nonché le propensioni attuali nello scenario mutevole e complesso della contemporaneità.

Ad introdurre il libro di Arnheim, non a caso, era prefatore Gillo Dorfles – uno dei più lucidi estetologi d'arte dell'Occidente -, che invocava, per ogni autentica conoscenza di un'opera d'arte o di un'artista, non più una lettura “derivata dai dati di sensazioni parcellari”, quanto un'altra e diversa “costituita da degli insiemi percettivi”. Dorfles insisteva sulla identificazione e il riconoscimento d'un insieme percettivo, appunto, che connotava come “pattern visivo” (modello complesso).
Ciò è particolarmente calzante per avvicinarsi alla complessità dell'opera di Ciccia, peraltro più volte indagata anche autorevolmente, in questi decenni di attività. Di Ciccia, infatti, hanno scritto, in tempi diversi, ma cogliendo “tessere” efficaci del suo composito mosaico creativo.

Loffredo, a proposito del lavoro di Ciccia, parla di “viva concitata geometria della forma, ricca di gesta, impeto e movimento dalla identificazione inconfondibile”; ed ancora di “vitalismo dettato da uno spirito ribelle, con nervosa e inquieta pennellata”.
Paloscia, critico equilibrato e conoscitore profondo della couche artistica toscana, ebbe a ricondurre al “gestuale” la pittura di Giuseppe Ciccia, tratteggiando con lucida suggestione le “traiettorie estemporanee, lungo le quali si consumano grumi di colore”; in ciò trovando un àlveo comune con Domenico Pugliese (“timbri cromatici”), con Anna Balsamo (“iperbole di colori mediterranei”) ed Elvio Natali che fu il curatore della bella mostra al Palazzo Pretorio di Prato del 1992, nel cui catalogo sottolineò la “vigoria dell'immagine” e la vicinanza con la spiritualità dell'arte Orientale, in particolare con la “corrente giapponese di Sho e Bokusho”.
In questa saggistica critica sull'opera di Ciccia (come si vede, saggistica di tutto rispetto) va isolata una singolare intuizione di Tommaso Paloscia; che cosa voleva dire accennando ad “attimi di nostalgiche rievocazioni, ben disposte a rinaufragare nelle nebbie della memoria...?”. Quali rievocazioni? Quali nebbie della memoria? Credo che nella risposta a queste intuizioni interrogative possano stare le coordinate critiche e poetiche della complessità creativa di Ciccia e della sua multiformità: che va dalla pittura alla scultura, alla grafica alla performance urbana (Petralia Soprana, 1995) e d'ambiente (“Sosta Vietata”, 1996), alle geometrie (ottagoni e cerchi) investite con tecnica mista su tavola.

Ed a proposito di questi cerchi (o dischi) occorre riandare alle suggestioni dei “dischi” di Emilio Vedova – olio, tempera su legno-realizzati fra l”85 e l”88 nei volumi della Fattoria di Celle: le assonanze ci sono e forti, persino nella cromia e nella gestualità. E in questi “dischi” di Ciccia, come in quelli di Vedova, non c'è nulla del melodico – come ha erroneamente suggerito qualcuno – e piuttosto dell'inquietudine, una stesura che è il risultato di una torsione, ove il “segno” nel suo farsi, ha una traiettoria ed una variazione di spessore.
Tutto questo porta a riflettere nel piccolo affollato studio che il nostro Artista ha nella bella e prestigiosa Piazza Savonarola, nel palazzo Liberty della Fondazione Carnielo. Qui si consuma la mia “inchiesta” sulla formazione e sulla sua “identità poetica”; a partire dal lontano 1963, da considerare l'anno di esordio del giovane messinese, classe 1946.
Certo è che fin d'allora – lo aveva in parte notato Dino Pasquali – sembrano fissarsi quelle coordinate culturali di “Espressionismo astratto” che, arricchite dalla vasta e consolidata esperienza fiorentina, lo porteranno ad un singolare sincretismo. Questa dei debiti culturali con l'espressionismo astratto è una traccia feconda che lo accompagna ancor oggi; ad esempio, il riferimento a Franz Kline, vale non solo per la pittura, ma soprattutto per le doti di disegnatore e per le sue tele bianco/nero che ci riportano a giganteschi ideogrammi cinesi; Robert Goldwater, a proposito di quelle opere, disse come di una “registrazione spontanea e senza ritocchi di uno stato d'animo impulsivo, annotato con rare confidenti pennellate”, che è quanto di più preciso possa attagliarsi a Giuseppe Ciccia.

Altro modello – soprattutto per la serie “vibrazioni” - è quello di Kooning (“Two woman with stille life”, per esempio o “Door in the River”) implementato da influenze di Hartung, almeno per quanto pertiene l'Astrattismo Europeo (si ricordi che il termine “Arte informale” si impiegò per indicare che la pittura aveva ormai abbracciato l'idea di assenza di forma.
Ma lo screening per Ciccia dovrebbe poter continuare , soprattutto, per qualche vicinanza contemporanea con Cecily Brown (Gagosian, New York, 1999; in Flash Art, n. 222/2000 o anche con Michelk Majerus, Berlino 1999). Né è da trascurare il “decorativismo onirico” di “Mental Maps” ove straniamento/alienazione/disorientamento sono una delle spinte maggiori. Ma l'inquietudine di Ciccia sembra ricondursi – forse solo per motivi esistenziali – all'inquietudine degli artisti della nuova Germania, ov'è percepibile uno scenario frastagliato, nel quale design, oggetti, performance e installazioni, convivono accanto ai mezzi più tradizionali come la pittura (comunque radicalmente rinnovata).

Ecco dunque perché, seppur legittimo, si può parlare solo con prudenza di “Espressionismo Astratto” per il lavoro di Ciccia. Che è un lavoro dirompente, com'è la sua stessa figura umana: generosa, pragmatica, aperta anche ed ancora all'investigazione delle tecniche artistiche. Non fisserei, dunque, le coordinate di Ciccia in un'area, ma parlerei piuttosto di un “moto di nuove forme”, di un “moltiplicatore neoformale e poliformale”.
Questa occasione, dunque, è ancora un evento in divenire nella ricerca di Giuseppe Ciccia; solo temporaneamente presente nel grande e nobile registro dell'Espressionismo Astratto.


Francesco Gurrieri
Università degli Studi



ottobre 2014












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