AVANGUARDIE DEL PASSATO DI FRANCO LASTRAIOLI
Alla metà degli anni ’50 del secolo appena trascorso, Franco Lastraioli inizia a muovere i primi passi da artista, con il fortissimo desiderio di lasciarsi alle spalle un passato legato alla tradizione, mantenendo però cari gli insegnamenti ricevuti, per volgerli al servizio di una ricerca impegnata ed aperta alla modernità che veniva affermandosi in ogni campo e alle tematiche da essa derivanti. Dal 1957 inizia a partecipare alle mostre collettive all’interno del “Gruppo dei 9”, del quale fu tra i fondatori, assimilando incontri e confronti, misti agli echi provenienti dalle Biennali di Venezia.
L’interesse per l’astrattismo lo conduce, nel 1962, all’elaborazione di una segnica molto vicina a Capogrossi e già l’anno successivo si nota una trama grafica libera da ogni costrizione, in grado di delineare sintetici profili dell’oggetto meccanico che stava conquistando le masse, ovvero l’automobile. I progressi della tecnica lo portano nel 1964-65 alla celebrazione delle prime imprese spaziali attraverso composizioni di grande accuratezza e ricchezza di particolari, capaci di interpretare con algida suggestione, il senso di un mistero appena violato, tutto da scoprire.
La vicinanza a Vinicio Berti e al suo Astrattismo Classico ha sicuramente influito nel procedere della ricerca di Lastraioli, insieme alla frequentazione delle avanguardie fiorentine, della Galleria Numero di Fiamma Vigo e della Galleria Vigna Nuova, dove si riunivano ed esponevano gli artisti del “Gruppo 70”, del quale Lastraioli entrò a far parte nel 1965, due anni dopo la sua costituzione, realizzando all’inizio, collages legati alla poesia visiva. Cenacolo di artisti e poeti tra i quali Antonio Bueno ed Eugenio Miccini, il Gruppo si proponeva di anticipare gli anni ’70 con toni ludici e dissacratori.
I simboli della modernità come l’asfalto, le strisce pedonali, i segnali stradali si scontrano con il paesaggio, alludendo ad una ironica, ma forte denuncia ambientalista di cui l’artista è precursore. Nel 1966 vince il XVII Premio del Fiorino, mentre l’opera realizzata nel 1967 per il Muro dipinto di Dozza, in Romagna, segna il passaggio dal tema del dissidio tra natura e tecnologia al surrealismo ed è sviluppato ampiamente nei primi anni ’70, dopo lo strepitoso successo riportato nella mostra presso la Galleria Cortina di Milano nel 1969, dove fu invitato a realizzare centoventi opere, delle quali nessuna rientrò a Firenze.
Nel giro di qualche anno tutto questo lascia spazio ad una poetica sempre densa di contenuto provocatorio e di protesta, ma più sottile, che si afferma in una gestualità apparentemente insignificante ma assai efficace nel comunicare all’osservatore esattamente quello che egli ha da dire, cioè niente. Concettuale, pop art, optical art e iperrealismo si fondono nella genialità di composizioni insospettate e coinvolgenti per la realizzazione e per il messaggio che recano: cestinare un’annotazione, stracciare una scheda, appendere un canovaccio, gettare fiammiferi in ordine sparso, fino all’uccellino meccanico, lo stesso che ritroveremo nel successivo e definitivo periodo surrealista, a beccare sul davanzale della finestra.
GABRIELLA GENTILINI
Firenze, ottobre 2010